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Il campo per prigionieri di guerra n. 117 di Ruscio (1942-1943)

Se una guerra sostanzialmente perduta ha confinato per più di mezzo secolo in una dimensione familiare le vicende dei prigionieri di guerra italiani sparsi nei campi di concentramento di mezzo mondo, opportunità politiche e voglia collettiva di dimenticare hanno relegato quelle delle migliaia di persone provenienti dalle terre occupare ad Est dall’Italia fascista tenuti prigionieri nella Penisola, in un limbo storiografico da cui ancora faticano a riemergere.
Per restituire profondità storica alla questione occorre considerare come da un certo momento del conflitto tutte le forze in campo si trovarono ad affrontare un problema comune: quello di reperire manodopera a basso costo per le rispettive economie di guerra, dissanguate dalla diaspora di braccia giovani, sottratte al lavoro dai fronti aperti su scala planetaria. L’Umbria negli anni centrali della Seconda guerra mondiale vide impiantarsi nel suo territorio più di una decina di campi di lavoro per prigionieri di guerra, che seguivano la geografia delle miniere e delle cave di lignite. Il campo n. 117 di Ruscio, nel territorio di Monteleone di Spoleto, era uno di questi.
Il percorso didattico che proponiamo è stato reso possibile grazie alla collaborazione dell’Associazione “Pro Ruscio”.
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