Archivio Storico delle Acciaierie di Terni - AST S.p.A. (c)

In occasione del centenario della Grande Guerra l’Isuc, in collaborazione con altri enti e istituti culturali, conclusa l’iniziativa di formazione e ricerca Uomini e donne nella Grande Guerra. Umbria 1915-1918, metterà a punto una serie di iniziative incentrate sulle problematiche poste da quel drammatico evento. Tra queste: due convegni, a Perugia e a Terni, per definire il contributo delle due maggiori città umbre allo sforzo bellico; una ricerca sulla presenza degli umbri nella Grande Guerra documentata anche dai numerosi monumenti eretti dopo la fine del conflitto; un progetto volto alla conservazione e alla fruizione del “centenario” con la creazione di un inventario e di un archivio digitale dei materiali e dei documenti utilizzati per mostre, convegni, presentazioni, ecc., e una bibliografia delle pubblicazioni relative all'Umbria e alla Prima guerra mondiale, dal 1915 ad oggi.

La prima guerra mondiale è stata definita la prima guerra totale per il gran numero di nazioni e persone coinvolte nelle operazioni belliche (condotte anche per mare e, per la prima volta, dall’aria), ma anche la prima guerra industriale perché per la prima volta vengono utilizzate armi, mezzi e strumenti, come aerei, sommergibili, carri armati, lanciafiamme, gas asfissianti, moto, automobili, radio, ecc. che solo un sistema produttivo industriale è in grado di produrre nei tempi e nei quantitativi necessari.

Non a caso vengono subito adottati provvedimenti legislativi che consentono l'intervento dello Stato nell’economia e nelle relazioni industriali, appaltando le forniture militari ma soprattutto organizzando la distribuzione di materie prime, personale e prodotti finiti nonché fissando i prezzi delle derrate alimentari e individuando gli stabilimenti ausiliari per lo sforzo bellico. I lavoratori addetti a queste attività, sottoposti alla giurisdizione militare, vedranno così aumentare il loro orario di lavoro, aboliti gli straordinari e inasprirsi la disciplina in “cambio” di una migliore vigilanza sulle condizioni igienico-sanitarie e dell’intervento statale per la soluzione delle controversie di lavoro.
In pratica, facendo leva sull’eccezionalità del momento, tutta la società civile viene sottoposta alla mobilitazione, che porta con sé le prime forme di organizzazione scientifica del lavoro, un maggior inserimento delle donne nelle varie attività produttive, comprese quelle dei servizi, e dovrà poi affrontare i problemi di riconversione posti dalla fine della guerra.
Sebbene entri nel conflitto circa un anno dopo l’avvio delle ostilità, l’Italia arriva a mobilitare oltre 5 milioni di soldati e paga un prezzo altissimo, non tanto in termini di costi materiali, quanto umani: circa 650.000 militari morti, 1 milione di feriti (molti dei quali rimarranno invalidi), 600.000 prigionieri (100.000 dei quali non torneranno a casa), “solo” 5.000 civili morti nelle operazioni belliche, ma ben 600.000 per malnutrizione e malattie. 
L’Umbria vede la guerra dal “fronte interno”, sia perché non si combatte sul suo territorio sia perché, ciò nonostante, è significativo il suo contributo: complessivamente si contano quasi 11.000 morti, come ben testimoniano i numerosi monumenti e le ancor più numerose lapidi che costellano anche il più piccolo centro abitato della regione. 

Proprio per essere lontana dal mare, così come dalle zone teatro di combattimenti, in numerose città umbre e anche nelle piccole frazioni vengono portati contingenti di prigionieri di guerra e italiani fatti sfollare dalle zone di operazione.

foto originale di proprietà di Giuliano Giuman
  • foto originale di proprietà di Giuliano Giuman
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